Quando 2 genitori divorziano, quello che si distacca dal nucleo familiare è tenuto a versare un assegno di mantenimento per i figli. Ma fino a che età devono essere mantenuti? In Italia non esiste un vero e proprio limite ma esclusivamente un criterio e una serie di casi particolari. Cerchiamo allora di fare chiarezza e capire meglio quando è possibile smettere di sostenere economicamente i propri figli.
Che cos’è l’assegno di mantenimento?
Secondo la legge italiana, i genitori sono obbligati a impegnarsi per il mantenimento dei propri figli. Ciò significa che, oltre al soddisfacimento dei bisogni primari, i genitori sono obbligati a garantire anche un’adeguata istruzione e un tenore di vita dignitoso. Questa regola è valida per tutti, indipendentemente dal fatto che i figli siano nati all’interno di una coppia sposata o meno.
Ciò che cambia riguarda la gestione dei figli dopo una separazione o un divorzio. Se i genitori erano conviventi e si sono mantenuti rapporti ragionevoli tra i 2, l’accordo può essere preso anche tra le parti in via del tutto privata. Se invece la coppia era sposata allora entra in gioco lo strumento dell’assegno di mantenimento. Si tratta di un versamento periodico a cadenza mensile di una cifra stabilita da un giudice che dovrà essere versata dal genitore che si allontana a quello che continuerà a vivere con i figli.
Solitamente, in presenza di un figlio, ammonta a circa il 25% del reddito del genitore che dovrà versarlo. In presenza di 2 figli sale al 40% mentre con 3 o più figli arriva al 50% del reddito, salvo casi particolari. Il genitore è obbligato a versare l’assegno di mantenimento fino a quando il figlio non raggiunge l’autonomia economica e qui la faccenda si complica, perché cosa si intende esattamente per autonomia economica?
Fino a che età vanno mantenuti i figli?
Il criterio dell’autonomia economica è suscettibile a una grande quantità di variabili. Innanzitutto va precisato che il giudice mira a mantenere invariato il tenore di vita dei figli anche dopo la separazione. Se, per esempio, si separano un impiegato (che guadagna circa 1.400€) e un medico di base (che percepisce circa 4.600€ al mese), l’assegno sarà piuttosto corposo: circa 1.150€ in presenza di un solo figlio.
Tale assegno dovrà essere corrisposto al figlio anche dopo la maggiore età, fino a quando non troverà un lavoro che riesca a garantirgli un tenore di vita pari o migliore rispetto a quello della famiglia di provenienza. Se il ragazzo maggiorenne studia all’università, l’assegno non decade fino a quando non troverà un lavoro congruo alla propria laurea. Ciò significa che un laureato in giurisprudenza che lavora saltuariamente come cameriere può ricevere l’assegno di mantenimento o al limite subirne una lieve contrazione.
L’assegno di mantenimento decade dunque solo al raggiungimento dell’autonomia economica, cioè con il matrimonio o la firma di un contratto a tempo determinato o indeterminato. Sono esclusi gli stage e il praticantato, i contratti mensili e quelli stagionali. Un ulteriore caso particolare è il maggiorenne che non studia e non lavora. Per lui potrebbe finire il mantenimento a meno che non riesca a dimostrare al giudice la sua buona volontà e che la sua condizione non è determinata dalla sua pigrizia. Mantengono sempre il diritto all’assegno di mantenimento i figli maggiorenni con disabilità e inabili al lavoro.
Cosa succede quando le condizioni economiche dei genitori cambiano?
La vita, si sa, può riservare una serie di imprevisti. La legge non pone limiti di età all’assegno di mantenimento ma prevede la possibilità di modifiche. Se ad esempio il genitore che vive con i figli contrae un nuovo matrimonio, la Corte di Cassazione ha stabilito che è possibile richiederne un ridimensionamento. Una revisione può essere concessa anche nel caso in cui il genitore perda il lavoro o la sua situazione patrimoniale peggiori.
La richiesta di azzeramento, invece, può essere accolta solo ed esclusivamente nel caso in cui il figlio raggiunga l’indipendenza economica con un matrimonio o un lavoro o nel caso in cui si riesca a provare che il ragazzo sia volontariamente disoccupato e non intenzionato a cercare un lavoro o un corso di studi per migliorare la propria situazione.
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