Un libro nero e uno bianco, le due facce dell’umanità, il dualismo di cui l’uomo è caratterizzato. Da una parte il buio della violenza, dall’altra la luce della speranza, è così che, durante la prima serata del Festival di Sanremo 2020, Rula Jebreal comincia il suo monologo sul palco dell’Ariston.
Il momento è solenne e dopo i primi bisbigli del pubblico, il silenzio cala inesorabile sul racconto della giornalista.
Una testimonianza per denunciare la violenza sulle donne
Rula comincia a leggere dal libro nero, pagine buie: “Lei aveva la biancheria intima quella sera? Si ricorda di aver cercato su internet il nome di un anticoncezionale quella mattina? Lei trova sexy gli uomini che indossano i jeans? Se le donne non vogliono essere stuprate devono smetterla di vestirsi da poco di buono”. La giornalista mette in luce la doppia violenza che la donna spesso subisce. Da una parte quella brutale e fisica e dall’altra, la violenza della società che non le crede, che non le fa giustizia, che la schiaccia e non la protegge.
Poi, ci sono i dati sulla violenza sulle donne: “Nell’80% dei casi il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta, per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa, ci sono le sue impronte sullo zerbino, il segno delle sue labbra sul bicchiere”.
Il dato preoccupante che Rula Jebreal sottolinea con forza e dolore, è che la maggior parte degli omicidi e delle violenze sulle donne è perpetrato da famigliari o amici.
Rula ricorda sua madre Nadia con commozione
Il monologo tocca i momenti di più alta commozione quando la giornalista racconta di sua madre Zakia che “ha perso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni. Si è suicidata dandosi fuoco. Ma il dolore è una fiamma lenta che ha cominciato a salire quando ero adolescente”.
Continua con gli occhi colmi di commozione: “Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato il luogo della sua tortura perché mia madre Nadia fu brutalizzata e stuprata due volte: a 13 anni da un uomo, poi da un sistema che l’ha costretta al silenzio, che non le ha consentito di denunciare, perché le ferite sanguinano di più quando non sei creduta. L’uomo che l’ha violentata per anni, il cui ricordo è incancellabile, era con lei mentre le fiamme divoravano il suo corpo, aveva le chiavi di casa”.
Parole forti e di denuncia contro un sistema che va cambiato, una cultura che va rivista e una parità che non è mai davvero arrivata. Nel momento in cui pronuncia queste parole, la giornalista non si dimentica di leggere dal libro bianco che rappresenta, con molta probabilità, la sensibilità degli uomini verso le donne. E così se da un lato Rula pronuncia parole di violenza, paura e disperazione, dall’altro lato legge La Cura di Battiato, Sally di Vasco Rossi, La Donna Cannone di De Gregori.
“Voi non avete nessuna colpa”
Tante donne non denunciano i loro aggressori o lo fanno molto tardi. Questo accade perché a volte le donne si sentono in colpa, quasi responsabili di quello che accade loro.
La giornalista guarda davanti a sé il pubblico e con voce alta dice: “Voi non avete nessuna colpa”. Con le lacrime Rula Jebreal continua a parlare e a testimoniare: “Adesso parlo agli uomini. Lasciateci essere quello che siamo e quello che vogliamo essere. Madri di 10 figlie o madri di nessuna, casalinghe o in carriera. Siate nostri complici, nostri compagni, indignatevi insieme a noi quando qualcuno ci chiede: ‘Lei cosa ha fatto per meritare quello che le è accaduto?’”.